“Non so come sia, bisogna sperimentarlo per capire, ma dopo che due se le sono date di santa ragione per otto o nove ore si stabilisce tra loro uno strano senso di fratellanza”
“Mi sento un dio. la boxe è arte, inutile negarlo. Ci vuole del fegato per essere un grande artista e ci vuole del fegato per essere un grande pugile”
“Era circa mezzanotte ed ero nel solito stato di confusione. insomma, sapete com’è, niente va bene: le donne, i lavori che ci sono, quelli che non ci sono, il tempo, i cani. Finchè si raggiunge una specie di prostrazione e si sta ad aspettare, come quando si è seduti sulla panchina, alla fermata di un autobus, in attesa della morte.”
“La mia mente era in guerra con la vita schifosa che mi era toccata e l’unico modo per calmarmi era bere e bere e bere.”
“Harry si sedette a uno dei vecchi tavoli. il caffè era buono. Aveva tretott’anni ed era un uomo finito. Sorseggiò il caffè e si mise a pensare dove aveva sbagliato e dove ci aveva azzeccato. Si era semplicemente stufato…del mondo delle assicurazioni, degli uffici angusti con gli alti tramezzi di vetro, dei clienti. Si era stufato di tradire sua moglie, di palpare le segretarie nell’ascensore o nei corridoi. Si era stufato delle feste di Natale e di quelle di Capodanno e dei compleanni e delle rate della macchina nuova e di quelle dei mobili, delle bollette della luce, del gas, dell’acqua, di tutto quello stillicidio di necessità che lo dissanguava”
“Sento il dolore che mi si arrampica addosso. E’ come una seconda pelle. Vorrei potermela sfilare come fanno i serpenti.”
“Quello che rifiutavo della guerra non era il fatto che avrei dovuto uccidere qualcuno o essere ucciso senza ragione. La cosa mi sembrava irrilevante. Quello che non potevo sopportare era l’idea di essere privato del diritto di starmene in una stanzetta a digiunare, a bere vino da quattro soldi, a uscire di testa a modo mio quando mi andava.
Non volevo essere svegliato da una tromba, non volevo dormire in una caserma con un branco di sani, rosei, cordiali, terrorizzati bomboloni americani, fissati con il sesso, pazzi per il football, sovralimentati, fatti di erba, sempre pronti a sparare cazzate, scorreggioni e mediocri. Ragazzi con cui avrei dovuto fare amicizia, con cui mi sarei dovuto sbronzare durante le ore di uscita, con cui avrei dovuto starmene sdraiato ad ascoltare un mucchio di barzellette sporche, trite e poco divertenti. Non volevo avere niente a che fare con le loro lenzuola ruvide, le loro uniformi che prudevano, la loro umanità scadente. Non volevo cac**e nello stesso posto o pisciare nello stesso posto o scoparmi la stessa puttana. Non volevo vedere le loro unghie dei piedi o leggere le lettere che ricevevano da casa. Non volevo dover guardare i loro culi che mi ballonzolavano davanti a ranghi serrati, non volevo farmi degli amici, non volevo farmi dei nemici, non sapevo cosa farmene di loro nè di tutta la faccenda. Uccidere o crepare era secondario.”
“non si può soffrire più di quello che ha deciso la natura.”
“Era così l’ospedale e allora non sapevo che vent’anni dopo ci sarei tornato, sempre nel reparto dei poveri. ospedali e garage e puttane: ecco le università della vita. Ho preso diverse lauree. Chiamatemi dottore…”